Tu là, impotente dalle ginocchia lasche,
Apri quelle ganasce avvolte in sciarpe perché io t’insuffli coraggio,
Allarga le palme, solleva i risvolti delle tasche,
Nessuno può ricusarmi, io forzo, ho provviste in abbondanza e di riserva,
E tutto quello che ho lo regalo.Non ti chiedo chi sei, non è importante per me,
Non puoi far niente, né essere altro che ciò che avvolgo in te.Su chi sfacchina nei campi di cotone, su chi pulisce le latrine io mi curvo, E sulla loro guancia destra depongo un bacio familiare,
E giuro per l’anima mia che mai li rinnegherò.In donne atte a concepire do vita a figli più forti e più svegli,
(Oggi faccio scaturire la materia per più tracotanti repubbliche).Verso chi sta morendo mi affretto e giro il pomo della porta,
Rovescio le coperte verso i piedi del letto
E mando a casa medico e prete.Afferro l’uomo avvilito e lo sollevo con volontà irresistibile,
O disperato, ecco il mio collo,
Perdio, non cadrai! appenditi a me con tutto il tuo peso.Io ti dilato con un titanico soffio, ti faccio stare a galla,
Ogni stanza della casa la riempio con una forza armata,
E chi mi ama può eludere la tomba.Dormite: loro e io faremo guardia tutta la notte,
Nessun dubbio, nessun malanno oserà mettere un dito su di voi,
Io vi ho abbracciati, e d’ora in poi io vi possiedo in me,
E quando vi alzerete al mattino vi accorgerete che quello che dico è così.
W. Whitman, Canto di me stesso, 40