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Evoluzione ante litteram

A questo punto c’è il rischio che tu commetta un errore:
occorre quindi evitare in modo assoluto di credere
che la vista non nacque solo per farci guardare
e che le gambe si piegano alle ginocchia e ai malleoli
ben fondate sui piedi sui quali si appoggiano
solo per farci fare dei passi più lunghi:
né che le braccia si uniscano a spalle robuste
e con le mani si adoperino ai due lati del corpo
solo per soddisfare alcuni tra i nostri bisogni.
Tutto questo rovescia qualsiasi rapporto reale
perché antepone l’effetto alla causa: ma niente
fa parte del nostro corpo solo per essere usato
in una maniera precisa: é l’uso che nasce dall’organo.

Lucrezio, De rerum natura, IV, 823

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Ammonimento

 «Ora asciugati gli occhi, direbbe, e smetti di piangere: tu non hai mai sfruttato le gioie che offriva la vita 
mancava sempre qualcosa, sprezzavi quello che avevi, 
e così l’esistenza è sempre rimasta in sospeso 
solo per non ricordare che avrebbe dovuto finire: 
ed ora non sai persuaderti che è giunto il momento. 
Devi lasciare i tuoi beni, a cui non hai più diritto, 
e ad altri il tuo posto nel mondo, è ora di andarsene». 
Ciò la Natura direbbe, con meritato rimprovero 
perché la legge comanda che i vecchi cedano il posto 
a qualcuno più giovane, e tutto va rinnovato.

Lucrezio, De rerum natura, III, 955

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Nella luce di Epicuro

Tu scorgesti per primo in questo buio profondo 
quella traccia di luce che indicava la strada: 
voglio seguirti ancora, grande gloria dei Greci, 
procedendo nell’orma che il tuo piede ha lasciato. 
Io non posso emularti, ma l’amore mi spinge 
solamente a imitarti: come vuoi che un rondone 
si paragoni ad un cigno? E potrebbe un capretto 
dalle zampe tremanti atteggiarsi a destriero? 
Tu ci hai anche lasciato, con i tuoi insegnamenti, 
molti saggi precetti: ora io voglio volare 
sopra i tuoi scritti, Maestro, come fanno le api 
sui bei fiori dei prati, per estrarne una scienza 
che é preziosa per noi e che credo sia eterna. 
Da quando, per il tuo genio, noi potemmo scoprire 
la natura reale di ogni cosa che esiste 
il terrore è svanito, le mura sono crollate, 
noi possiamo scrutare questo immenso universo. 
Vediamo anche gli déi, nelle loro dimore 
che resistono al vento e le nubi non scuotono 
con i loro piovaschi, né la gelida neve 
le ricopre di bianco: un cielo sempre sereno 
le sovrasta e rallegra con un roseo chiarore. 
La natura provvede a tutto quello che occorre, 
niente riesce a turbare quella pace divina: 
lì non ci si tormenta per il nero Acheronte 
né la terra impedisce di guardare al di sotto 
ciò che vive e si compie nello spazio infinito. 
Tutto questo mi dona una gioia profonda 
e dolcemente io tremo quando, grazie al tuo genio, 
posso anch’io riconoscere la natura di tutto. 

Lucrezio, de rerum natura, III,1

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Senza dei

Solo così pensando noi potremo comprendere
che la natura, affrancata da qualsivoglia padrone,
può sempre agire da sola senza un dio che intervenga.
Se pensiamo agli dei, che sono sempre sereni,
ed al ritmo tranquillo che guida la loro esistenza
quale reggerà il mondo con polso fermo e sicuro
governando il timone di questo intero universo?

Lucrezio, de rerum natura, II-1090

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L’angelo del povero

Ora che invade le oscurate menti
Più aspra pietà del sangue e della terra,
Ora che ci misura ad ogni palpito
Il silenzio di tante ingiuste morti,
Ora si svegli l’angelo del povero,
Gentilezza superstite dell’anima…
Col gesto inestinguibile dei secoli
Discenda a capo del suo vecchio popolo,
In mezzo alle ombre…

G. Ungaretti, L’angelo del povero

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I molti mondi

Il mondo che noi conosciamo lo ha fatto la grande natura
le cui parti primarie, unite in mille maniere
nel movimento incessante alla fine riuscirono
a combinarsi tra loro per questa grande creazione
della terra, dei mari, del cielo e dei molti viventi:
per la stessa ragione noi dovremo anche ammettere
che vi siano altri mondi in cui è accaduto lo stesso
e tutto si trovi agganciato in un simile abbraccio.
Sempre che esista materia in quantità sufficiente,
il luogo sia favorevole e nulla si opponga,
tutto può sempre unirsi ed avviare il suo ciclo.

Lucrezio, de rerum natura, II-1059

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Preghiera

Cristo, pensoso palpito,
Astro incarnato nell’umane tenebre,
Fratello che t’immoli
Perennemente per riedificare
Umanamente l’uomo,
Santo, Santo che soffri,
Maestro e fratello e Dio che ci sai deboli,
Santo, Santo che soffri
Per liberare dalla morte i morti
E sorreggere noi infelici vivi,
D’un pianto solo mio non piango più,
Ecco, Ti chiamo, Santo,
Santo, Santo che soffri.

G. Ungaretti, da Roma occupata

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Con la mente aperta

Osserva per un istante la grande purezza del cielo,
quello che esso contiene, tutte le stelle che splendono,
la luna e l’astro solare di ineguagliabile luce:
se tutto questo dovesse apparirci ad un tratto
e si offrisse allo sguardo in modo del tutto inatteso
che cosa potremmo pensare di maggior meraviglia?
Ne resteremmo stupiti come davanti a un prodigio!
Eppure tanto stupore alla fine è venuto a cessare:
chi lo ha sempre veduto non solleva il suo sguardo
per ammirare quel cielo al quale non presta attenzione.
Ora non devi respingere, solo perché non le sai
– e il nuovo fa sempre paura – le cose vere che dico:
rendi aguzza la mente e soppesa quei fatti,
accoglili, se sono veri, e se sono falsi respingili.

Lucrezio, de rerum natura, II-1026

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Guerra

Mio fiume anche tu, Tevere fatale,
Ora che notte già turbata scorre;
Ora che persistente
E come a stento erotto dalla pietra
Un gemito d’agnelli si propaga
Smarrito per le strade esterrefatte;
Che di male l’attesa senza requie,
Il peggiore dei mali,
Che l’attesa di male imprevedibile
Intralcia animo e passi;
Che singhiozzi infiniti, a lungo rantoli
Agghiacciano le case tane incerte;
Ora che scorre notte già straziata,
Che ogni attimo spariscono di schianto
O temono l’offesa tanti segni
Giunti, quasi divine forme, a splendere
Per ascensione di millenni umani; Ora che già sconvolta scorre notte,
E quanto un uomo può patire imparo;
Ora ora, mentre schiavo
Il mondo da abissale pena soffoca;
Ora che insopportabile il tormento
Sì sfrena tra i fratelli in fila a morte;
Ora che osano dire
Le mie blasfeme labbra:
«Cristo, pensoso palpito,
Perché la Tua bontà
S’è tanto allontanata?»

G. Ungaretti, da Roma occupata

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L’inverno della vita

Non più furori reca a me l’estate,
Né primavera i suoi presentimenti;
Puoi declinare, autunno,
Con le tue stolte glorie:
Per uno spoglio desiderio, inverno
Distende la stagione più clemente!…

G. Ungaretti, da Giorno per giorno

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