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Rivoluzione interiore

La malattia di cui oggi soffre gran parte dell’umanità è inafferrabile, non definibile. Tutti si sentono più o meno tristi, sfruttati, depressi, ma non hanno un obbiettivo contro cui riversare la propria rabbia o a cui rivolgere la propria speranza. Un tempo il potere da cui uno si sentiva oppresso aveva sedi, simboli, e la rivolta si dirigeva contro quelli. Si sparava a un re, si liberava la Bastiglia, si assaltava il Palazzo d’Inverno e si apriva così la breccia di un secolo. Ma oggi? Dov’è il centro del potere che immiserisce le nostre vite?
Bisogna forse accettare una volta per tutte che quel centro è dentro di noi e che solo una grande rivoluzione interiore può cambiare le cose, visto che tutte le rivoluzioni fatte fuori non han cambiato granché. Il lavoro da fare in questa direzione è enorme, ma non sempre siamo pronti a questa fatica.

T. Terzani, Un altro giro di giostra, 256

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Sulle orme del collasso?

Questo grande fallimento dell’India comporta un insegnamento: diventando troppo numerosa, e malgrado il genio dei suoi pensatori, una società non si perpetua che generando la servitù. Allorché gli uomini cominciano a sentirsi stretti nel loro spazio geografico, sociale e mentale, una facile soluzione rischia di sedurli: negare la qualità umana a una parte della specie. Per qualche decennio essi avranno mano libera. In seguito bisognerà procedere a una nuova espulsione. In questa luce, gli avvenimenti di cui l’Europa è stata teatro per vent’anni, e che riassumono un secolo nel corso del quale la sua popolazione si è raddoppiata, non mi appaiono più come il risultato dell’aberrazione di un popolo, d’una dottrina o di un gruppo di uomini. Ci vedo piuttosto l’indizio di una evoluzione verso una fine di cui l’Asia del Sud ha fatto l’esperienza mille o duemila anni prima di noi, e a cui, a meno di grandi decisioni, non riusciremo forse a sfuggire. Questa grande svalorizzazione sistematica dell’uomo da parte dell’uomo si va estendendo, e sarebbe ipocrita e incosciente voler evitare il problema con la scusa che si tratta di un fenomeno passeggero. Ciò che mi atterrisce in Asia è l’immagine del nostro futuro, che essa ci anticipa. Nell’America indiana invece vagheggio il riflesso, fugace anche laggiù, di un’età in cui la specie era proporzionata al suo universo, e in cui persisteva un rapporto valido tra l’esercizio della libertà e le sue leggi.

C. Lévi-Strauss, Tristi tropici, 16

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Senza visi

Sono venuto al mondo in una stagione calma.
Molte porte si aprivano che ora si sono chiuse.
L’Alma Mater dormiva. Chi ha deciso
di risvegliarla?

Eppure
non furono così orrendi gli uragani del poi
se ancora si poteva andare, tenersi per mano,
riconoscersi.

E se non era facile muoversi tra gli eroi
della guerra, del vizio, della iattura,
essi avevano un viso, ora non c’è neppure
il modo di evitare le trappole. Sono troppe.

E. Montale, da Sono venuto al mondo…

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L’evasione dei nostri viaggi

Oggi che le isole polinesiane, soffocate dal cemento armato, sono trasformate in portaerei pesantemente ancorate al fondo dei Mari del Sud, che l’intera Asia prende l’aspetto di una zona malaticcia e le bidonvilles rodono l’Africa, che l’aviazione commerciale e militare viola l’intatta foresta americana o melanesiana, prima ancora di poter distruggere la verginità, come potrà la pretesa evasione dei viaggi riuscire ad altro che a manifestarci le forme più infelici della nostra esistenza storica? Questa grande civiltà occidentale, creatrice delle meraviglie di cui godiamo, non è certo riuscita a produrle senza contropartita. Come la sua opera più famosa, pilastro sopra il quale si elevano architetture d’una complessità sconosciuta, l’ordine è l’armonia dell’Occidente esigono l’eliminazione di una massa enorme di sottoprodotti malefici di cui la terra è oggi infetta. Ciò che per prima cosa ci mostrate, o viaggi, è la nostra sozzura gettata sul volto dell’umanità.

C. Lévi-Strauss, Tristi tropici, cap. 4

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