Il senso della vita

In ogni amore è in gioco, dunque, una trasformazione fondamentale della contingenza dell’evento dell’incontro in un destino necessario. È quello che per Sartre fonda la vera gioia dell’amore. Essa consiste nel fatto che, per via dell’amore dell’Altro, io vengo salvato dalla mia fatticità, che, in altri termini, io non esisto più per caso, privo di senso, non sono più “di troppo” nel mondo, la mia esistenza non è qui per niente, ma è diventata il “senso” della vita dell’Altro, ciò che dà significato a quella vita e che da quella vita attinge reciprocamente il suo significato. È questa la gioia dell’amore quando c’è. La mia esistenza, che non è mai il fondamento di se stessa, una volta amata si trova a esistere perché è voluta dall’Altro nei suoi minimi particolari, per “tutto”. È “chiamata”, è “attesa”. La domanda d’amore si qualifica quindi come una domanda di senso; io voglio essere salvato dal peso insopportabile della mia fatticità, dal non-senso che accompagna la mia venuta al mondo. L’Altro che mi ama mi sottrae all’abbandono assoluto attribuendomi un senso nuovo e, in questo modo, attribuisce anche un senso nuovo al mondo. Il mondo chiuso dell’Uno si apre al mondo nuovo del Due. Mentre all’inizio della vita in primo piano era il caos informe del grido, l’assenza di senso, la pura fatticità dell’esistenza, ora, grazie all’amore dell’Altro, la mia vita riceve un senso, si sente voluta, desiderata, giustificata a esistere.

M. Recalcati, Non è più come prima, 2

Lascia un commento

Archiviato in Psicologia

Lascia un commento